La storia
"Villa d'Arceno : vivere in un luogo meraviglioso" di Vera Marcolini
Il territorio di Villa d'Arceno si estende per mille ettari fra le colline del Chianti senese , incastonato fra Castelnuovo Berardenga e San Gusmè.
In antico era una piccola comunità etrusca, nel periodo medioevale divenne proprietà della famiglia dei Berardenghi, fondatori della Abbazia di San Salvatore, fu poi smembrata fra molti piccoli proprietari, rinacque alla fine del quattrocento, quando una ricca famiglia senese, i Del Taia, cominciò ad acquistare uno per uno i vari casali e pievi.
Nell'alto medioevo avevano sede in questo territorio quattro piccole pievi e almeno due castellari.
I nomi dei casali odierni svelano le antiche origini.
San Giovanni fu una pieve citata per la prima volta nel "Cartulario della Berardenga" nell'anno 1056; vi erano poi San Pietro (l'odierna cappella annessa alla villa), San Donato, di probabile origine longobarda con anche la funzione di guardingo (torre di sorveglianza), e da ultimo San Lorenzo e Fabiano, oggi trasformata in casale in località Pancole, ove vi era annesso anche un piccolo monastero posseduto dalle monache di Santa Petronilla.
Un castellare era l'attuale Palazzaccio, mentre il casale Montecchio rappresentava un altro guardingo.
Una comunità quindi che sapeva difendersi e mantenere una sua unità di vita.
La famiglia Del Taia, di origine lombarda trasferitasi a Siena alla metà del trecento, cominciò ad estendere le sue proprietà in Villa d'Arceno proprio acquistando per primo Montecchio ed a seguire tutti i casali allora esistenti. Nella metà del seicento trasformò il gruppo di case attorno alla pieve di San Pietro nella attuale Villa.
La famiglia Del Taia acquistò anche gran parte del paese di San Gusmè, di Villa a Sesta e tutto Borgo San Felice, divenendo una vera potenza fondiaria, come tante altre famiglie senesi dell'epoca.
Agli inizi del settecento si trovano presenti nelle carte tutti i casali che ancora oggi esistono, con la trasformazione delle più antiche chiese in abitazioni.
Le uniche pievi sopravvissute fino agli anni 50 del '900 furono la chiesa della Villa, rinominata San Giovanni, e San Lorenzo e Fabiano, scomparsa solo di recente, ma funzionante ancora nel dopoguerra.
Villa d'Arceno visse il suo massimo fulgore nell'800 quando fu acquistata dal Conte Emilio Piccolomini Clementini, che rese ancor più fastosa la sua residenza ed affidò al più grande architetto dell'epoca Agostino Fantastici, la creazione dal nulla del Bosco Inglese (oggi conosciuto come Parco Romantico).
Il Fantastici lavorò dal 1832 al 1844 (anno della sua scomparsa) creando il lago, tutti gli edifici ancora esistenti, il grande ponte e tutta la parte boschiva.
Dal 1855 cominciò il declino della zona, in quanto la tenuta passò in diverse mani, per poi essere smembrata negli anni 90 del' 900 e tornare a rivivere nelle odierne sembianze di proprietà private.
Lo splendore antico è ancora presente in ogni casolare e tracce degli antichi mestieri esistono in angoli poco conosciuti: ciò che oggi colpisce è la splendida armonia delle vigne, che seguono con flessibilità tutti movimenti delle colline e attorniano con eleganza i casolari.
Vie sterrate e sentieri si snodano fra boschi di lecci e stupefacenti viali di cipressi: chi vive in questi luoghi respira la storia e ritrova pace ed armonia grazie ad una natura rispettata.
Una Testimonianza
"La scuola sussidiata ad Arceno" di Piero Ruffoli
"Inizi degli anni sessanta, quelli che inaugurano il grande esodo dalle campagne.
I contadini lasciano la terra e vanno a lavorare nelle aziende artigianali del legno,
del ferro, chi è più intraprendente cerca il "posto sicuro" di custode, di uomo di fatica
nei vari enti statali, nelle banche. Orario di lavoro da "cristiani", una paga sicura a fine mese.
Ed allora i proprietari terrieri come cercano di arginare l'emorragia della mano d'opera perché le aziende non vadano in crisi totale? Tanti i modi per trattenere le famiglie, innanzi tutto la revisione dei patti agrari della mezzadria più favorevoli a chi coltivava la terra, la luce elettrica nei casolari che ne sono privi, migliorare insomma il tenore di vita. Ma ci sono i figli da mandare a scuola. Dove? Nei paesi, nelle frazioni in cui lo Stato le ha aperte.
Ed Arceno? I ragazzi che abitano nei poderi sono andati da sempre a San Gusmè. Ma non tutti hanno frequentato la scuola ogni giorno. Per le distanze notevoli da coprire a piedi, acqua, neve e vento che fossero. Ai genitori certo premeva la scuola, di più la salute dei figli. Lo Stato aveva affidato ai Comuni il compito di favorire le scuole sussidiate, sempre decentrate, se richieste da un gruppo di cittadini, da un'azienda agraria, da altro soggetto riconosciuto.
Ercole Settembre, fattore della tenuta di Arceno, si disse pronto a mettere a disposizione i locali della scuola, a fornire la legna per riscaldarla. Il Comune doveva assicurare l'arredo (banchi, lavagna, cattedra, carte geografiche) ed "il sussidio" all'insegnante. Mi fu chiesto se volevo assumere l'incarico di maestro della scuola di Arceno. A fine anno scolastico il Comune mi avrebbe corrisposto il "sussidio". Centomila lire, insomma appena diecimila lire al mese. Naturalmente accettai e cominciò così per me una splendida avventura lunga tutta una vita da insegnante.
Dico un'avventura perchè avevo ovviamente il diploma magistrale, ma zero esperienza se non quella "acquisita", si fa per dire, dall'ora di tirocinio alla settimana trascorsa da "auditore" in una classe delle elementari di Porta Romana.
Scuola sussidiata e soprattutto pluriclasse, cioè alunni dalla prima alla quinta. Scuola di mattina e pomeriggio,
il giovedì libero. Organizzare il lavoro in contemporanea per i diversi gruppi all'iniziò mi terrorizzò, poi
i suggerimenti dei colleghi di Castelnuovo mi indirizzarono sul metodo da seguire.
Insegnai ad Arceno due anni. Il primo anno la scuola era in una casa, ora abbattuta, a sinistra della Cappella.
Per i ragazzi fermarsi ad Arceno invece di continuare a camminare fino a San Gusmè fu una gioia.
Morena, occhi neri, vivacissimi, prima elementare, abitava al Mulino dell'Ambra. Una salita lunga e ripida per arrivare ad Arceno, se non si fosse fermata avrebbe dovuto "scalare" anche la Ritombola. Chilometri di fatica all'andata ed al ritorno. Portava da casa il pranzo e lo consumava nelle case dei compagni. Chi veniva dal Camparone, un podere in mezzo ai boschi aveva più o meno le stesse difficoltà.
Poi c'erano i Faustini, famiglie patriarcali che abitavano nello stesso podere da generazioni. Ed allora nelle diverse classi Luciano, Vito, Anna, Dino, Lorena, la più grande, cugini unitissimi, educati, rispettosi. Poi Lorenzo Stendardi, Maria Teresa la figlia adottiva di Settembre, per ricordare alcuni dei quindici-sedici alunni della pluriclasse.
Per mangiare? La mia mamma mi metteva nella borsa una fettina di carne che Valeria, la cuoca di fattoria, mi cucinava all'ora di pranzo avendomi prima messo in tavola, la pastasciutta o il minestrone.
Nel giorno delle Ceneri del febbraio 1961, ci fu l'eclisse totale di sole. Lo commentai con i miei ragazzi,
le galline che quando si fece buio credettero fosse finita la giornata ed andarono tutte "a pollaio" per poi
uscirne quando il sole tornò a brillare.
Il secondo anno la scuola fu spostata ad Arceno di Sopra e lì rimase anche l'anno successivo.
Poi finalmente il Comune organizzò il servizio di scuolabus e tutti gli alunni allora andarono a San Gusmè
dove era stata costruita la nuova scuola.
Tanti ricordi personali belli, gratificanti di quei due anni, anche lo strazio indicibile quando dodici anni dopo in un caldo pomeriggio di agosto Vito e Luciano, due bambini dolcissimi, intelligenti che ho sempre nella mia mente e negli occhi, annegarono nel fontone che si trovava a lato del viale dei cipressi che porta al Tondo."